Contributo di Nadine Bloch
“È camminando che si fa il cammino.”
Antonio Machado Ruiz
Usi comuni
Collegare località diverse che cercano di esercitare un impatto su un problema comune; dare forma a una comunità alternativa; dimostrare l’impegno verso una causa attraverso la resistenza; incarnare fisicamente il percorso verso un’alternativa.
Tutti noi impariamo a camminare in età molto precoce e, quasi contemporaneamente, scopriamo l’importanza di essere in grado di spostarci verso dove vogliamo andare (quella pila di giocattoli) o di allontanarci da ciò che non ci piace (quel piatto di purea di piselli). Ogni passo, lungo il nostro percorso, incarna quel messaggio.
Le storie di resistenza popolare sono ricche di camminate, marce, traversate in mare e persino voli. Nel corso dei millenni, dagli albori dell’esistenza umana a oggi, intere comunità hanno raccolto tutte le loro cose e fatto valere la propria opinione con i piedi, muovendosi da situazioni divenute insostenibili verso terre più fertili. Nel secolo scorso, le marce prolungate sono state ampiamente utilizzate in modo strategico come piattaforma di sensibilizzazione e mobilitazione, oltre che come forma di espressione tangibile dei problemi.
Il caso più noto di una marcia popolare di più giorni è forse quello della Marcia del Sale del 1932, in India (vedi CASO DI STUDIO: La Marcia del Sale). Gandhi concepì questa marcia come una lezione vivente per il suo Paese, creando, letteralmente un passo alla volta, una comunità in grado di sostenere e incarnare un’India indipendente.
Molte altre manifestazioni hanno seguito lo stesso esempio, in genere con l’obiettivo di mostrare un modo di vivere ideale o alternativo. La grande marcia pacifica per il disarmo nucleare globale, nel 1986, ha raccolto sempre maggiori consensi lungo il suo percorso intercontinentale, arrivando a Washington con 1500 manifestanti e migliaia di sostenitori. Nel corso delle 3700 miglia così coperte, i manifestanti non hanno solo diffuso informazioni sul disarmo nucleare e sollecitato interventi in suo favore, ma sono riusciti a dare vita a una città mobile partecipativa.
Non tutte le marce, però, vanno a rappresentare strutture sociali o di vita alternative: alcune si concentrano su specifiche funzioni strategiche della tattica stessa. Nel 2010, quattro studenti immigrati hanno intrapreso una marcia di 1500 miglia verso Washington per sostenere l’approvazione immediata della legge D.R.E.A.M. Act (sviluppo, soccorso, istruzione dei minori stranieri) e la moratoria sulle deportazioni degli studenti idonei. Il loro “Cammino dei Sogni” (vedi CASO DI STUDIO: The Trail of Dreams) incarnava gli ostacoli impossibili posti sulla strada del successo degli immigrati negli Stati Uniti.
Nel corso di queste manifestazioni sono stati utilizzati gli strumenti più disparati, da biciclette a treni e persino barche a vela: nella marcia On-To-Ottawa del 1935, per esempio, centinaia di operai canadesi rimasti senza lavoro salirono a bordo di un treno merci a Vancouver per portare le loro rimostranze fin nella capitale locale. Le loro richieste fondamentali rappresentavano una tale minaccia per il governo che gli fu impedito fisicamente di raggiungere Ottawa, ma i disordini che avevano dato vita alla manifestazione presto portarono al crollo del governo conservatore. Nel 1989, un’iniziativa diplomatica popolare, la Soviet American Sail, ha portato una goletta di circa 40 metri da New York a Leningrado per ribadire il messaggio ambientale e di opposizione alla guerra fredda, “Siamo tutti nella stessa barca”. La tattica della marcia può rivelarsi uno strumento molto potente per focalizzare l’attenzione su un problema.
Principio chiave in azione
I percorsi delle marce sono spesso frutto di una scelta strategica per rendere visibile l’invisibile, portando questioni poco conosciute all’attenzione del pubblico.
Potenziali insidie
Le proteste mobili richiedono un notevole supporto logistico prima, durante e dopo l’azione. A volte questo onere può rivelarsi troppo pesante e gli organizzatori possono lasciarsi sopraffare dalla logistica, senza mettere in pratica la strategia. Nei casi peggiori, i requisiti fisici della marcia o del viaggio possono portare i partecipanti al collasso e bruciare la più ampia rete di supporto. Assicuratevi di preparare il tutto per tempo e di aver raccolto risorse adeguate a garantire il successo della manifestazione.
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Autore
Nadine Bloch è la direttrice della formazione del progetto Beautiful Trouble. Artista innovativa, è una sostenitrice della nonviolenza, organizzatrice politica, formatrice d’azione diretta e marionettista. Le sue opere esplorano la potente interazione tra arte e politica, dove la resistenza culturale creativa non costituisce solo un’azione efficace, ma anche un modo potente per reclamare il diritto di agire sulle nostre vite, combattere sistemi oppressivi e investire nelle nostre comunità, divertendosi più degli altri! Tra le altre cose, ha collaborato con Greenpeace, Labor Heritage Foundation, Nonviolence International, Ruckus Society, HealthGAP and Housing Works e Bread & Puppet Theatre. Inoltre ha contribuito al volume “Beautiful Trouble” e a “We Are Many, Reflections on Movement Strategy from Occupation to Liberation” (2012, AK Press). Date un’occhiata alla sua rubrica mensile su WagingNonviolence, “The Arts of Protest”.
Immagine
L’equipaggio della goletta Te Vega si prepara a partire per Leningrado alla Soviet-American Sail. Il successo si ottiene tirando tutti insieme.

Direi che, come inizio, non è per niente male!!! 😉
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