di Daniella Ambrosino, Prima Le Persone – 28 gennaio 2022
Prima parte. Da quando si sono diffusi i personal computer, e ancor più da quando quasi tutti hanno uno smartphone, ci si chiede che impatto potranno avere queste tecnologie sulla democrazia. Da principio sono prevalsi gli entusiasmi per le enormi risorse che i nuovi media apportano alla democrazia partecipativa e diretta, rendendola possibile su una scala impensata prima.
In particolare in Italia, dove si lamenta da anni uno scollamento fortissimo tra partiti e popolazione, l’avvento del digitale ha acceso molte speranze di poter ricolmare il distacco tra cittadini e politica e ravvivare il senso di responsabilità collettiva.
A distanza di anni, però, assistiamo alla massima diffusione dei grandi social internazionali, di cui si servono praticamente anche tutti i partiti e i personaggi politici, per la loro comunicazione; assistiamo anche alla banalizzazione del televoto nell’industria dell’intrattenimento. Da parte delle istituzioni pubbliche, sotto la spinta UE, si sta avviando con estrema lentezza un blando processo che dovrebbe coinvolgere la cittadinanza a partecipare di più alla “governance” tramite sondaggi, proposte e commenti. Ma la diffusione dei mezzi informatici come mezzo per attuare una reale democrazia di base, sia nei partiti che tra i gruppi e le associazioni di attivismo civico, è assai più modesta e segna il passo.
Il solo gruppo politico che in Italia avesse sposato decisamente la democrazia informatica, i 5 Stelle, è naufragato in un mare di critiche anche a proposito della sua decantata piattaforma Rousseau e della sua deludente gestione, deludente dal punto di vista della trasparenza, della orizzontalità e di una effettiva democrazia nel processo di proporre i quesiti su cui chiedere il voto. Si può dire anche che questo esperimento fallito – ma estremamente avversato fin dall’inizio da quasi tutti i media come “populista” e demagogico in linea di principio, come se fosse assurdo far votare la base – ha avuto un impatto negativo e ha fatto arretrare la fiducia delle persone in questo genere di innovazioni.
Ciononostante c’è chi, come noi di Prima le persone, non si rassegna a usare soltanto i soliti mezzi, assemblee, comizi, cortei – e soprattutto un sistema di organizzazione verticale, basato sulle deleghe, di cui ormai conosciamo tutti i limiti – senza prima esplorare seriamente le opportunità di rinnovamento e di presa diretta che solo le piattaforme informatiche possono offrire.
A nostro avviso solo gli strumenti digitali possono consentire di elaborare e discutere proposte in modo estremamente allargato, con un collegamento interattivo continuo tra centri e periferie e tra le persone, al di là delle barriere delle distanze fisiche, e dei comparti stagni territoriali, aprendo così la via a una democrazia orizzontale che riduce i livelli di rappresentanza intermedi.
Per questo abbiamo deciso di fare un’inchiesta sulle iniziative di questo tipo che sono sorte in Italia, (riservandoci prossimamente di fare il punto anche sulla democrazia digitale all’estero).
E cominciamo da Demosfera, piattaforma digitale nata nel 2019 espressamente a supporto dei gruppi di cittadinanza attiva.
L’iniziativa è partita da un gruppo di attivisti di base, di varie provenienze, che si sono costituiti in Associazione per creare una piattaforma telematica open source, ossia basata su software di pubblico dominio, fornita di tutti gli strumenti informatici che possano servire a chi fa politica “dal basso”: “una infrastruttura al servizio della buona politica”.
Era un progetto ambizioso, nato dopo una lunga preparazione, grazie al lavoro volontario di persone provenienti dall’area della sinistra-sinistra, da anni priva di rappresentanza e frammentata in cento gruppuscoli e comitati che non riescono a coordinarsi tra loro. Il fallimento dei tentativi di riunire questa galassia con operazioni di vertice ha convinto i fondatori di Demosfera che per riuscirci fosse necessario partire dal basso, facendo massiccio ricorso ai metodi informatici.
L’idea era di facilitare l’incontro e la cooperazione tra gruppi di attivisti, mettendo a loro disposizione un ambiente, uno spazio comune, dove fosse possibile sia portare avanti le proprie attività sociali in autonomia, sia conoscere altri gruppi e interagire per scopi condivisi, costruendo così, attraverso la cooperazione, le premesse per una eventuale sinergia politica a tutti i livelli .
Un’idea molto vicina a quella che sta alla base di Prima le persone, con la differenza che per noi è stato ed è prioritario e fondamentale autogovernarci tramite un’assemblea permanente, insomma realizzare un’associazione politica su solide basi di democrazia orizzontale, dimostrare che è possibile farlo, praticandola noi per primi, e allo scopo ci serviamo di una piattaforma e un sistema Liquid Feedback posseduti e certificati da terzi, messi a punto per il Partito pirata tedesco.
Solo secondariamente Prima le persone si prefigge di diffondere questa pratica tra le realtà affini, mettendo a loro disposizione questi mezzi per realizzare un diverso modo di fare politica dal basso.
Demosfera invece nasceva allo scopo di facilitare l’aggregazione della galassia dell’attivismo sociale, fornendogli un ambiente informatico open source di proprietà degli stessi utenti, che li liberasse dalla dipendenza dai vari tipi di social e proprietari e dal ricorso a servizi gestiti da privati e dai colossi della rete. Allo scopo si è costruita un sistema a propria immagine e somiglianza, la cui proprietà (collettiva) è della stessa associazione promotrice.
Associazione alla quale tutte le realtà interessate a usare la piattaforma potevano aderire, diventando a loro volta partecipi – nella persona dei loro aderenti – della proprietà collettiva. Altrimenti potevano limitarsi a stipulare una convenzione, previa accettazione dello Statuto e versamento di una modesta somma una tantum e di un contributo proporzionale agli utenti.
Proprio per una questione di Statuto e di regolamenti, Prima le persone non ha aderito al progetto, non avendo i promotori di Demosfera voluto modificare lo statuto che si erano dati e che secondo Prima le persone non era abbastanza orizzontale, anzi non lo era affatto: per timore di cammellaggi da parte delle associazioni aderenti, infatti, il sistema di autogoverno dell’associazione proprietaria a nostro avviso era restato estremamente tradizionale e verticale, basato sulla delega.
Il progetto comunque è decollato e ha interessato anche reti associative caratterizzate da un gran numero di partecipanti, come La società della cura.
Sono intanto passati un paio d’anni, in cui la pandemia ha potenziato il ricorso a forme di incontro on line.
Abbiamo voluto perciò capire a che punto era il progetto parlandone direttamente con gli animatori di Demosfera.
Nel prossimo articolo di questa mini inchiesta pubblicheremo le interviste che ci hanno rilasciato alcuni di loro.
Seconda Parte. Demosfera è nata con grandi speranze: “vogliamo ispirare una sommossa politica”, scrivevano sul sito i suoi promotori. Come giudicano i risultati dei primi due anni di vita?
Abbiamo chiesto notizie di Demosfera a tre persone che la conoscono bene dall’interno: Mario Sommella, già presidente di PLP, poi passato a Demosfera; Vittorio Tomasi, sviluppatore della nuova Demosfera 2.0, e Marco Giustini, aderente della prima ora ed esperto di sistemi di democrazia digitale.
Mario Sommella non nasconde le difficoltà incontrate, ma è ottimista per il futuro. Che rapporti ci sono tra “Demosfera” e le associazioni politiche che la utilizzano, in particolare la Società della cura?
“Come tutte le altre associazioni attualmente presenti, Società per la cura ha stabilito una convenzione con noi, non ha aderito a Demosfera. Hanno una sezione, completamente autogestita ed amministrata da loro, dove possono utilizzare tutti i servizi offerti, in piena autonomia e libertà. Inoltre, stiamo interloquendo da tempo con un altro collettivo importante, NetLeft -Transizione, un’associazione per la politica e i diritti nell’era digitale, per la promozione delle libertà digitali e la disponibilità delle tecnologie a fini sociali. Sono anche loro molto interessati allo sviluppo del progetto. Ovviamente parliamo sempre di open source, free software, e di una proprietà collettiva, cui accedono tutti coloro che si iscrivono all’Associazione proprietaria, per partecipare alla gestione di tutto il progetto.”
Che piani avete adesso?
“Stiamo per lanciare un nuovo portale, con unico accesso per tutti i servizi che la piattaforma offre, ad esempio videoconferenza, uso del sistema Decidim, che include una sezione di voto chiamata Liquid voting ed una sezione per inoltrare petizioni, Petition, tipo change.org, oltre a blog e forum, ed altri servizi utili a movimenti ed associazioni, anche partiti politici, che volessero far parte del progetto, sempre in continuo sviluppo.”
Come siete arrivati a questa Demosfera 2.0?
“Abbiamo voluto facilitare l’accesso e l’uso di tutti i servizi anche agli utenti privi di dimestichezza con strumenti informatici, innanzitutto introducendo un unico accesso a tutto ciò che la piattaforma offre. Prima bisognava, per ogni ambiente, entrare con una password. Inoltre abbiamo avuto cura di semplificare le procedure al massimo. Spesso abbiamo a che fare con utenti che non sanno districarsi, e se trovano che tutto è troppo complicato per loro, abbandonano.
Poi abbiamo incluso servizi nuovi, molto richiesti, come la possibilità di lanciare petizioni, senza dover ricorrere a terzi come Change o simili. C’è anche uno strumento per gestire la contabilità e i bilanci, che fa comodo alle associazioni.
Ora stiamo ancora facendo una serie di test proprio per verificare e migliorare l’accessibilità da parte di chiunque. Io in particolare mi occupo di testare la piattaforma anche dal punto di vista degli utenti con disabilità.
Avremo anche dei tutorial introduttivi che rendano più amichevole e semplice muoversi dentro Demosfera ed esplorare ciò che offre.”
Vittorio Tomasi, che fa parte del Comitato tecnico, e ha sviluppato la nuova Demosfera 2.0 (che è in fase di collaudo e non è ancora aperta al pubblico), insiste sulle difficoltà incontrate e sembra più cauto sulle prospettive future. Come siete arrivati a progettare questa nuova versione della piattaforma?
“Abbiamo constatato che non era abbastanza user friendly. Era troppo dispersiva: ora con un unico accesso si avrà a disposizione tutto: forum, Blog, votazioni, raccolta firme, e anche un percorso di formazione sulle principali funzioni.
Ogni organizzazione aderente mantiene un proprio dominio e la propria autonomia, ma ogni utente può far parte di più organizzazioni. È cambiata l’architettura: prima era un condominio con tanti appartamenti separati, ora oltre agli appartamenti ci sono zone comuni.”
Come sintetizzeresti, da un punto di vista politico, l’esperienza fatta con la prima versione?
“Luci e ombre. Abbiamo avuto interazioni frequenti da parte di gruppi diversi, ma non si è andati oltre. Mentre nelle nostre intenzioni l’ambiente Demosfera doveva servire a creare prospettive di azione in comune.
I gruppi sono parecchio restii, temono di perdere qualcosa della propria identità. Non c’è attività politica, solo discussioni, non si organizzano battaglie politiche insieme.
Adesso forse con l’ingresso di Netleft si dovrebbero definire degli obiettivi politici e passare alle proposte. Vedremo.
Altro punto critico: le organizzazioni che hanno aderito non hanno poi utilizzato le possibilità offerte, in particolare non hanno apprezzato la scelta di abbandonare i social proprietari e di basarsi su software open source. Non c’è abbastanza consapevolezza della differenza, o della sua importanza. La Società della cura, ad esempio, ha aderito, ma poi è rimasta assente, mentre continuano a usare Gmail, Facebook, Twitter.”
Di solito chi usa questi social risponde che sono indispensabili perché, anche se sono ideati per scopi commerciali, di fatto è solo lì che si può incontrare la gente.
“Ma non è vero, se ne potrebbe fare benissimo a meno. Esistono social alternativi, come Mastodon. E poi su Facebook ci sono quasi 800 tra pagine e gruppi di sinistra, ma tra loro non si parlano e non si conoscono nemmeno. Non c’è scambio e circolazione di idee tra loro.”
Secondo te ci sarebbero altre possibilità da sviluppare dentro Demosfera?
“Secondo me si potrebbe sviluppare una dimensione, diciamo così, finanziaria: oggi è possibile anche a chi non è una banca gestire pagamenti, transazioni finanziarie, trattenendo, diciamo, un 3%. La logica sarebbe quella di destinare a scopi sociali quel 3%: ad esempio a una casa albergo per donne maltrattate. Insomma Demosfera potrebbe diventare anche una specie di ONG finanziaria, avere un braccio finanziario che gestisse le transazioni degli aderenti e destinasse gli utili a scopi sociali.”
E che accoglienze ha avuto quest’idea?
“C’è molta reticenza. Tutti dicono “Bello, interessante”, ma il primo passo non lo fa nessuno.”
Il più critico dei tre sulle prospettive della piattaforma è Marco Giustini, aderente di Demosfera fin da subito. Che cosa ti sembrava interessante e promettente nel progetto?
“La coincidenza tra intento politico e capacità tecnica di trasformare idee in software.”
Quali sono stati gli sviluppi successivi, visti dal di dentro?
“La risposta dei soggetti che avrebbero dovuto usare la piattaforma è stata minima. Si sono iscritte molte persone ed associazioni, ma nessuno ha mai usato veramente tutti gli strumenti della piattaforma”.
Che bilancio tracceresti adesso? Quali sono le criticità?
“Il bilancio non è positivo. Probabilmente il fallimento del progetto è dovuto al basso livello di cultura digitale nei soggetti fruitori. Senza un precedente lavoro di diffusione culturale, si è destinati all’insuccesso. A mio parere la criticità maggiore però è di essere una piattaforma senza strumenti pubblici, o almeno senza una parte di strumenti pubblici.
In molti progetti simili, all’estero, c’è un accesso di doppio livello, il primo pubblico ed il secondo riservato agli iscritti a pagamento. Quello pubblico ha la doppia funzione di pubblicizzare il progetto e garantire un accesso minimo non a pagamento. Ho provato diverse volte a suggerire di cambiare modello ma senza risultati.”
Che cosa intendi per strumenti pubblici?
“Attualmente Demosfera dal lato fruitori è una serie di servizi ad accesso riservato, non pubblici. Io proposi che parte dei servizi fosse pubblico, di modo che i potenziali fruitori, vedendo l’esempio dei fruitori esistenti, fossero incentivati ad usare i servizi. “La propaganda attraverso l’esempio”. Ti faccio un esempio. Immagina che ogni fruitore da Demosfera riceva un proprio sito web, fatto per esempio con wordpress, che è supportato da una comunità open source.
Questo sito avrebbe contenuti visibili a tutti, inseriti dal fruitore (frontend). Quelli sono i servizi pubblici. Poi attraverso il sito web il fruitore accede ai servizi riservati (backend).”
Demosfera offrirebbe il sito pubblico, ma tutte le associazioni interessate hanno già un sito pubblico, ciascuna il suo, quindi dovrebbero trasferirsi a quello offerto o tenerne in piedi due.
“Trasferirsi. Calcola che la maggior parte ha siti wordpress. E che è estremamente facile trasferire tutti i contenuti da un sito wordpress all’altro.”
Demosfera sta per varare una versione 2.0, un’unica piattaforma con molte funzionalità anche nuove, insomma vuole crescere. Secondo te ha effettivamente un avvenire davanti? E per quali ragioni?
“A mio parere ha le stesse criticità della precedente versione. Manca il lato ad accesso pubblico.
Ma oltre a questo, c’è proprio un problema di strategia. Tra i promotori di Demosfera ci sono due visioni diverse: c’è un gruppo che ancora vede Demosfera come vettore utile a mettere in moto processi unitari della sinistra alternativa; ed un altro che invece vorrebbe costruire una rete economica mutualista attraverso la piattaforma digitale. A me personalmente sembra più interessante il secondo progetto, che vuole fare in pratica una Amazon alternativa.”
Addirittura! Ma una cosa esclude l’altra? Il mutualismo esclude il progetto politico?
“A quanto pare, chi propone il mutualismo non crede più all’opzione politica nell’ambito della la democrazia parlamentare, e quindi sì, di fatto una cosa esclude l’altra. Questa divergenza a mio parere ha di fatto portato allo stallo del progetto.
E comunque, come si è visto, c’è un forte ritardo nell’uso di strumenti digitali da parte dei soggetti politici organizzati, ritardo che ha portato Demosfera ad avere tanti iscritti, dei quali però nessuno usava gli strumenti messi a disposizione. Non credo che il cambio di piattaforma, se mai avverrà, cambierà la situazione.”
Fonte: Prima Le Persone | Prima Parte – Seconda Parte
